Il club delle lettrici compulsive

Quello che abbiamo in testa – Sumaya Abdel Qader

Quello che abbiamo in testa Book Cover Quello che abbiamo in testa
Sumaya Abdel Qader
narrativa contemporanea
Mondadori
12 Novembre 2019
cartaceo, e book
252

Horra, un’italiana di nemmeno quarant’anni, figlia di giordani musulmani, vive a Milano con il marito che la adora e le due figlie adolescenti che più diverse l’una dall’altra non potrebbero essere. La sua non si può proprio definire una vita noiosa, anzi. Come potrebbe, visto che, da perfetta equilibrista, divide le sue giornate tra la famiglia, il lavoro come segretaria in uno studio di avvocati, l’università, che è a un passo dal terminare, il volontariato, le preghiere e le discussioni in moschea, e il suo variopinto ed eterogeneo gruppo di amiche? Eppure, nonostante la fatica e i piccoli problemi quotidiani, nonostante la malinconia per la parte di famiglia che vive lontana, Horra non può che sentirsi serena, felice persino.

Ma un giorno, un fatto apparentemente di poco conto ha su di lei l’effetto di uno tsunami. Perché quando, come lei, sfuggi alle classificazioni, quando vivi al confine tra due mondi, quello occidentale e quello orientale, che faticano a riconoscersi tra loro e a riconoscerti, facendoti sentire marziana, estranea, galleggiante, allora inizi a chiederti che cosa significhi davvero essere “liberi”. A maggior ragione se il tuo stesso nome in italiano significa proprio questo, “Libera”.

E così, nei mesi che vengono raccontati in questa storia, tra gioie quotidiane e piccole sconfitte, incontri fortunati e discussioni accese, Horra cercherà di trovare una risposta ai suoi tanti dubbi per riuscire a sentirsi, forse per la prima volta in vita sua, davvero fedele a se stessa.

Un romanzo lieve che racconta una realtà di cui tutti parlano ma che pochissimi conoscono profondamente, un ritratto vivido e realistico di un’Italia contemporanea che non possiamo più permetterci di ignorare.

Quello che abbiamo in testa è il romanzo d’esordio di Sumaya Abdel Qader.

L’autrice è laureata in biologia e in sociologia e ricopre la carica di consigliere al comune di Milano.

Quello che abbiamo in testa racconta la quotidianità di una famiglia musulmana milanese attraverso gli occhi di Horra (che vuol dire “Libera”), moglie, madre, laureanda in giurisprudenza, segretaria part time e attivista per i diritti delle donne.

Incontriamo la protagonista mentre si prepara per un pomeriggio di shopping con le amiche, e la seguiamo poi a casa, al lavoro, durante il volontariato e persino in moschea, lasciamo penetrare lo sguardo all’interno di una vita comune, simile a quella di molte di noi, con i problemi che abbiamo tutte, ma con un quid in più che ci destabilizza.

Sì perché Horra è italiana, è nata in Italia, ha studiato in Italia, eppure viene trattata da molti come se non fosse al suo posto, perché porta l’hijab.

L’ignoranza e la supponenza degli sconosciuti che le chiedono a bruciapelo perché non si toglie il velo o se ha pagato o meno il biglietto sono le stesse che troviamo nei più recenti fatti di cronaca nei confronti di chiunque non sia conforme allo standard.

Ed è dai fatti di cronaca, ma soprattutto dal proprio vissuto che l’autrice ha preso spunto per scrivere Quello che abbiamo in testa.

L’argomento era troppo interessante perché me lo lasciassi sfuggire, la curiosità verso le culture mi appartiene da sempre e negli anni ho tormentato colleghi, amiche e conoscenti musulmani per tentare di riuscire a comprendere la loro spiritualità.

Il titolo gioca sull’ambiguità tra quello che le donne musulmane hanno fisicamente in testa, cioè l’hijab, e quello che hanno nella testa, quello che pensano e come lo pensano.

Le donne occidentali, spesso, vedono le donne velate come delle “poverine” costrette a mortificarsi, vessate da uomini che le obbligano a nascondersi e non è falso che in alcune parti del mondo e in alcune situazioni questo sia vero, ma è anche vero che questo capita anche a chi velata non è.

“Non c’è coerenza nel chiedere alle donne autodeterminazione e mettere in dubbio le scelte di alcune, come per esempio quella di portare il velo.
La verità è che ci sono persone di serie A e persone di serie B, valutate attraverso due pesi e due misure. Si accetta che una donna voglia e possa essere libera di mettersi un costume quasi invisibile, mentre non si accetta che un’altra donna voglia e possa essere libera di mettersi un burkini. Perché?
Come si capisce se una donna fa una cosa perché è davvero libera oppure perché è influenzata o obbligata da altri? Chi ci dice che una donna che si mette la minigonna non sia influenzata dalla logica maschilista dell’uomo alfa che vuole le donne sempre in modalità copertina di “Playboy”? Nelle pubblicità la donna è prima di tutto oggetto e non soggetto, e spesso il corpo femminile viene sessualizzato e ridotto a un contenitore senza contenuto. Allora di cosa si parla quando si guarda alle donne musulmane senza guardare nel proprio orto? Non corre forse una linea continua e trasversale che tocca tutti in materia di diritti e libertà delle donne, solo che assume diverse forme per motivi diversi? Nessuno è meglio di un altro, ognuno ha le sue criticità. E se invece mettessimo i problemi sullo stesso piatto e cercassimo di risolverli insieme? E se valorizzassimo i punti di forza di ognuno?”

Questo scrive Horra, riflettendo su quello che le accade intorno. Ed è la scoperta dell’acqua calda, perché sembra così ovvio, ma davvero non lo è!

Che cos’è il velo, dunque?

È un simbolo? Cosa simboleggia? È paradossale definirlo femminista?

Probabilmente prima di leggere Quello che abbiamo in testa avrei tentennato nel rispondere a questa domanda, ma la lettura mi ha chiarito molti aspetti e, adesso, credo di aver colto il senso di questa definizione.

Certo, il fatto che il velo sia definito femminista è una chiara provocazione, lo ammette l’autrice, lo ammette anche tramite la voce di Horra, ma non è un’assurdità.

Se vogliamo che ogni donna sia libera di esprimere se stessa, deve esserlo sia nello scoprirsi che nel decidere di coprirsi.

Entrambe le azioni, se si verificano sotto costrizione, sono negative, ma se fatte consapevolmente, da persone adulte e consenzienti, devono essere rispettate.

Tutte noi pretendiamo di essere rispettate in quanto esseri umani, se io decido di mettere una mini gonna nessuno deve sentirsi in diritto di apostrofarmi per strada, di toccarmi o di infastidirmi in nessun modo, così, allo stesso modo, nessuno dovrebbe permettersi certi atteggiamenti con chi decide consapevolmente di coprirsi il capo o qualsiasi altra parte del corpo.

Può non piacere, perché le nostre nonne e le nostre mamme ci hanno insegnato che nessuno deve avere voce in capitolo sul nostro abbigliamento, ma se nessuno deve averlo, allora nemmeno noi dovremmo averne, nei confronti delle altre.

Mentre leggevo Quello che abbiamo in testa ho provato ad aprire gli occhi in maniera diversa sul mondo delle donne musulmane e ho cercato di capire se anche io cadevo nei tranelli del razzismo inconscio.

Mi vergogno, ma sì, ci cadevo, persino io. E questo non mi va.

Così ho passato un intero pomeriggio a setacciare google alla ricerca di tutorial per indossare l’hijab e, dopo innumerevoli tentativi, ci sono riuscita.

Il risultato è stato soddisfacente, così ho mandato una foto a Sara, che ha risposto con una foto in cui anche lei indossava l’hijab.

Ne è nata, oltre che una risata, una seria riflessione.

Ed è questo che Quello che abbiamo in testa vuole suscitare. È un romanzo che serve per farci mettere in discussione quello che pensiamo, quello che la propaganda xenofoba vuole che noi pensiamo.

Qualunque sia la vostra idea in merito, vi consiglio di leggere Quello che abbiamo in testa, perché io l’ho trovato davvero prezioso.

E divertente! Non di solo pane vive l’uomo, ma nemmeno solo di cultura! E questo libro rimane una lettura leggera, al di là dei temi impegnati che tratta!

Avete letto Quello che abbiamo in testa? E voi, cosa avete in testa? Fatecelo sapere nei commenti!

(E diteci anche se volete vedere lo screenshot della chat tra me e Sara con le foto in hijab!!)

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NdA: il libro mi è stato fornito da Mondadori perché potessi recensirlo. Questo non ha influito sulla mia valutazione finale.

 

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