Il club delle lettrici compulsive

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili: questa è la tappa che ho scelto per il blog tour al quale partecipiamo oggi. Il libro è Sorelle Bronte, pubblicato da Oscar Vault e sarà nelle librerie a partire dal 25 agosto. È sempre bello partecipare ai blog tour perché mi danno modo di scrivere di altro, di uscire un po’ dallo schema delle recensioni che, alla lunga, rischia di annoiare. Ecco perché, quindi, per questo evento e prendendo spunto dalla storia della pubblicazione di Jane Eyre, ho deciso di parlare di tutte quelle autrici che sono state costrette a pubblicare sotto pseudonimo per un motivo o per l’altro.

Prima di cominciare, vi lascio il banner dell’evento in modo che possiate recuperare tappe e recensioni delle bravissime blogger che vi hanno preso parte.

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili

Attenzione: questo potrebbe essere l’articolo più polemico di sempre.

Oggi si parla di uguaglianza di genere, di divario salariale tra uomini e donne che fanno lo stesso lavoro, di richieste assurde che vengono fatte durante i colloqui di lavoro (se sei donna in età fertile)… e per fortuna ne possiamo parlare ad alta voce! Mi piacerebbe dirvi che finirà presto, di tenere duro perché siamo vicini all’equità tra uomini e donne… ma no.

Anche il mondo dell’arte è vittima della cultura patriarcale. Oggi, per fortuna, un po’ meno ma non ne è del tutto libero. Se avete visto Colette o Big Eyes, avete capito a cosa mi riferisco. Oggi ci concentreremo sulla letteratura, quindi andiamo con ordine e vediamo quali penne eccellenti hanno subito discriminazione di genere.

Iniziamo con Charlotte Brontë, ovviamente. Jane Eyre, il suo romanzo più famoso scritto nel 1847, è stato pubblicato con il nome di Currer Bell. Era in ottima compagnia perché anche Anne ed Emily hanno pubblicato i loro libri sotto pseudonimo: Acton Bell per Anne e il suo Agnes Grey e Ellis Bell per Emily e Cime tempestose.

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili: le tre sorelle Anne, Emily e Charlotte Brontë ritratte dal fratello Patrick Branwell. Fonte immagine: Wikipedia

Charlotte motivò la scelta di usare nomi maschili perché le loro opere non fossero bollate come “da poco” o insulse, o non prese neppure in considerazione perché firmate da donne.

Va considerato ovviamente il periodo storico, in cui solo le famiglie abbienti facevano istruire le figlie perché potessero condurre educate conversazioni (col preciso scopo di trovarsi un marito ricco, non stiamo a girarci intorno, per favore!). Ma le donne, guarda un po’, possono avere altri interessi al di là di pentolini, mestolini, pasticcini, bambini e altre cose che finiscono in ini. E possono anche avere idee geniali da mettere su carta.

Pur di pubblicare, pur di essere prese in considerazione per qualcosa al di fuori delle attività casalinghe, ecco quindi che uno stuolo di autrici meravigliose si vedono costrette a scegliere di pubblicare con un nome maschile.

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili:
Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili. Jane Austen si firmava “A Lady”, ovvero “una donna”.
Fonte immagine: Wikipedia

Tra le varie autrici che poi, per fortuna, sono passate alla storia con i loro veri nomi, non possiamo non ricordare Jane Austen. La Austen è un po’ quella che fa la differenza perché si firma “A Lady”. Non si sa bene la ragione (nonostante venga detto dal nipote che la zia era, in buona sostanza, una brava zia dedita alla famiglia quasi inciampata per caso nella letteratura) forse per evitare che i lettori pensassero che quelle narrate fossero esperienze sue personali… Forse, per l’epoca, era troppo sperare che una donna avesse immaginazione… Del resto, lo dice la Austen stessa in Persuasione:

«[…] non solo, ma credo di non avere mai aperto un libro in vita mia in cui non si dicesse qualcosa sull’incostanza delle donne. Canzoni e proverbi parlano tutti quanti della volubilità femminile. Ma forse, dirà lei, furono tutti scritti da uomini.»
«Forse lo dirò… Sì, se non le spiace, non riferiamoci agli esempi che si trovano nei libri. Gli uomini hanno avuto ogni vantaggio su di noi nel raccontare la propria storia. Hanno beneficiato dell’educazione in grado tanto più alto; sono le loro mani che hanno usato la penna.

In ogni caso, la paura di essere giudicata non ha permesso alla Austen di firmare i suoi libri, nonostante nell’ambiente letterario la cosa fosse risaputa. Il fratello, che ha sempre supportato le scelte di Jane, riabiliterà il suo nome dopo la morte firmando per lei anche i libri pubblicati in vita.

Mary Anne Evans. Vi dice qualcosa questo nome? Immaginavo. E se vi dicessi George Eliot? E se vi dicessi che sono la stessa persona? Ecco, appunto. L’autrice di Midlemarch: studi di provincia, di Il mulino sulla Floss e di Daniel Deronda ha usato uno pseudonimo maschile per anni, principalmente per due ragioni: evitare che la sua fosse bollata come “letteratura per signore” e per evitare lo stigma sociale in quanto ha convissuto per vent’anni con un uomo sposato. Stigma che non ha evitato eh. In più co-dirigeva una rivista, quindi immaginatevi la reazione della Londra bene della metà dell’Ottocento…

Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili
Le autrici che hanno usato pseudonimi maschili: George Eliot a trent’anni in un ritratto di François D’Albert Durade.
Fonte immagine: Wikipedia

Mary Shelley. La Shelley ha pubblicato Frankenstein nel 1818 in anonimo, con una prefazione del marito Percy. Per cui la paternità dell’opera è stata attribuita a lui per diverso tempo.

Per la stessa ragione di tutte le altre, Aurore Dupin diventa George Sand.

 E anche Louisa May Alcott ha pubblicato sotto pseudonimo, proprio come la sua Jo March.
Un lungo fatale inseguimento d’amore è stato pubblicato come A.M. Barnard, giusto per farvi un esempio.

Irene Némirovsky (Suite francese) si firmava con i nomi di Pierre Nérey e Charles Blancat quando scriveva articoli e racconti.

Venendo a tempi più moderni, James Tiptree Jr è lo pseudonimo di Alice Bradley Sheldon, scrittrice americana di fantascienza che è riuscita a tenere nascosto il suo genere fino al 1977.

Sapevate che il vero nome di Harper Lee era Nelle Harper Lee? E sapevate che le fu consigliato di togliere il Nelle per la pubblicazione di Il buio oltre la siepe? Perché un uomo vende di più…

La stessa ragione si nasconde dietro le JK della Rowling. La ROWLING, gente. Prima che diventasse il gigante che è, ne ha subite tante: oltre ai numerosi rifiuti di cui abbiamo parlato qui, anche l’offesa di sentirsi dire che come donna non avrebbe attirato il giusto pubblico.

Poi si è lanciata con i thriller scritti con uno pseudonimo maschile. Lei dice che lo ha fatto perché non pesasse la sua fama nella scelta di essere pubblicata, ma solo il contenuto dei suoi libri… Speriamo sia vero. Di fatto, quando si è saputo chi c’era dietro Robert Galbraith, ha iniziato a vendere di più, quindi, dopotutto, ha avuto una sorta di rivincita.

Potrei andare davvero avanti per ore… Ellis Peter, che ha scritto millemila libri tra gialli e altri generi (venti sono solo quelli con protagonista fratello Cadfael, giusto per fare un esempio) è lo pseudonimo maschile di Edith Mary Pargeter.

Non so se dietro ci siano altre motivazioni, ma quando vedo autrici firmarsi con le iniziali, storco sempre un po’ il naso, proprio per tutto quello che abbiamo appena detto: per certi generi letterari, le donne sono destinate a vendere meno degli uomini. Ed ecco quindi tutto uno stuolo di M.C. Beaton, P.D. James, J.D. Robb (Nora Roberts, amici. Nora Roberts!), N.K. Jemisin (tre premi Hugo. Non uno, non due. Tre)…

E per quale motivo? Perché, ancora oggi, c’è la credenza diffusa che se è una donna a scrivere, per forza di cose si parlerà di “cose da donne”. Certo, perché una donna non è in grado di scrivere di guerra, di fantascienza, di avventura esattamente come un uomo. Certo, come no.
E viceversa eh, ma non è questo il momento di parlare di quando accade il contrario. E con questo, sistemiamo anche tutti quelli che stanno per commentare “Ehhhhh, ma capita anche agli uominiiiiiii!”. Certamente. Ma meno. E l’onestà intellettuale per ammetterlo potrebbe essere un enorme passo avanti, così come smettere di valutare un’opera d’arte in base a chi l’ha scritta e non per il suo contenuto.

In più, se proprio vogliamo fare le pulci:

Selma Lagerlöf.
Grazia Deledda.
Sigrid Undset.
Pearl S. Buck.
Gabriela Mistral.
Nelly Sachs.
Nadine Gordimer.
Toni Morrison (pseudonimo di Chloe Ardelia Wofford, tra l’altro.)
Wisława Szymborska.
Elfriede Jelinek.
Doris Lessing.
Herta Müller.
Alice Munro.
Svjatlana Aleksievič.
Olga Tokarczuk.

Sapete chi sono queste quindici donne? Sono le quindici vincitrici del Premio Nobel per la Letteratura. Quindici. Su centododici premi assegnati. CENTODODICI. E Nelly Sachs ne ha vinto metà. L’altra metà è andata a un uomo.

Vi aspettavate così tante autrici? Ne avete altre da indicarmi? Lasciateci un commento!

 

Pubblicato da Sara Emme

Sono Sara e sono una lettrice compulsiva. Ho vissuto in Cina dal 2009 al 2017. Oltre ai libri, amo i viaggi, la fotografia, i gatti e la buona cucina. Appassionata di Harry Potter e del magico mondo creato dalla Rowling, passo la vita trascinando il mio povero marito (sant'uomo!) per i parchi a tema sparsi per il mondo.

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