Il club delle lettrici compulsive

La bambina che amava Tom Gordon – Stephen King

La bambina che amava Tom Gordon Book Cover La bambina che amava Tom Gordon
Stephen King
horror
Sperling & Kupfer
6 luglio 1999
cartaceo
302

"Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare". Questo Trisha McFarland scoprì a nove anni. Alle dieci di una mattina di giugno era sul sedile posteriore della Dodge Caravan di sua madre con addosso la sua maglietta blu dei Red Sox (quella che ha 36 Gordon sulla schiena) a giocare con Mona, la sua bambola. Alle dieci e mezzo era persa nel bosco. Alle undici cercava di non essere terrorizzata, cercava di non pensare: 'Questa è una cosa seria, questa è una cosa molto seria'. Cercava di non pensare che certe volte a perdersi nel bosco ci si poteva fare anche molto male. Certe volte si moriva."

La bambina che amava Tom Gordon è uno degli innumerevoli romanzi del Re del brivido, Stephen King.
Si tratta di una delle mie letture ricorrenti, vi dico solo che il prezzo sulla mia copia è ancora in Lire!
La prima volta che lo lessi, poco più che bambina, avevo solo una manciata di anni più della protagonista, fu dunque uno shock immedesimarmi così tanto e vedere nero su bianco tutte le paure che proprio in quegli anni tentavo di relegare in quel cassetto della mente che chiudiamo a doppia mandata subito dopo l’infanzia.
Vi chiederete come mai a una bambina di tredici (dodici?) anni fosse permesso di leggere King.
La verità è che non chiesi mai il permesso, trovai La bambina che amava Tom Gordon nella libreria di mio padre e lo presi, attratta da qualsiasi cosa fosse stampato su carta, compulsiva in erba, affamata di lettura com’ero.

Nel corso degli anni mi sono approcciata agli altri romanzi di Stephen King consapevole del fatto che ne avrei ricavato notti insonni e una momentanea regressione alle paure dell’infanzia, perché lui le scava e le riporta alla luce con sadica maestria.
Questo, però, resta uno di quelli che rileggo più spesso.
Il motivo è che in nessun romanzo come in questo emerge la capacità dell’autore di provocare una paura folle con… niente.
La storia è effettivamente ansiogena di natura, è innegabile, ma c’è di più del timore per l’incolumità di una bambina, c’è qualcosa che non è definito che mette il lettore in uno stato d’animo perfetto per perdere completamente la cognizione di cosa sia vero e cosa sia frutto dell’immaginazione della piccola protagonista.
Andiamo con ordine.
Trisha McFarland ha nove anni ed è la più sfegatata fan di Tom Gordon, lanciatore dei Red Sox.
Purtroppo i suoi genitori si sono lasciati e lei si è dovuta trasferire in un’altra città con la mamma e il fratello. Sente la mancanza del papà, ma è una bambina sveglia, sa che la situazione era inevitabile e prende la cosa con stoica filosofia.
Non si può dire altrettanto di suo fratello, che sembra aver ingaggiato una lotta senza quartiere contro la madre e che non perde occasione per provocare litigi infiniti.
Durante una passeggiata nei boschi, spazientita dall’ennesimo litigio sterile, Trisha si allontana dal sentiero per fare pipì senza avvisare la mamma, che comunque non le presta attenzione.
Turbata dall’idea che qualcuno possa vederla si allontana finché non perde di vista il sentiero e poi commette un grave errore: invece di tornare sui suoi passi decide di tagliare per il bosco e riprendere il sentiero più avanti. Ma il sentiero curva, lei perde l’orientamento e, nell’arco di pochi minuti, non sa più dov’è.
Terrorizzata e incapace di fermarsi ad aspettare eventuali soccorsi comincia a camminare, addentrandosi sempre di più in quella che è una delle foreste più fitte del nord America. Con sé ha solo il suo cappellino autografato da Tom Gordon, una mantellina da pioggia e uno zainetto con acqua, una bibita, una merendina,dei gambi di sedano, un uovo, un sandwich al tonno e un sacchetto di patatine (no, non lo so per niente a memoria). E naturalmente il suo walkman.
Gli insetti cominciano subito a tormentarla, come il terrore di trovarsi sola in un luogo ostile, ma Trisha razionalizza, mette la bambina da parte e si fa coraggio, mettendo in campo tutte le conoscenze che ha accumulato nei suoi nove anni di vita: rimedi contro gli insetti, piante commestibili e velenose, modi per uscire dalle situazioni difficili come quella. Decide dunque di trovare un corso d’acqua e seguirlo sperando che la conduca alla civiltà. Così facendo si addentra ancora di più nella foresta e passa la sua prima notte all’addiaccio, atterrita dai suoni notturni del bosco. È qui che comincia a farsi labile il confine tra quello che è vero e quello che può non esserlo.
Trisha si sente osservata.
Pensa che si tratti di un animale, ma mano a mano che il tempo scorre la certezza che sia qualcosa di “normale” comincia a sfumare.
La sensazione la accompagna per giorni, attraverso sfide immani, fatica, fame, malattia sete, partite di baseball ascoltate alla radio del walkman e allucinazioni.
La bambina ha visioni di suo padre, del Dio dei Perduti, della sua migliore amica e, sempre più spesso, del suo idolo Tom Gordon, che la consiglia e la conforta in modo sibillino, che risponde a domande su Dio e sul Subudibile.
Il racconto descrive con quanta forza e quanta caparbietà un essere umano, anche una bambina piccola, si attacchi alla vita sfoderando risorse insospettabili a dispetto degli scherzi della mente, che il lettore non riesce a riconoscere come tali nemmeno a libro finito.
Era un animale selvatico?
Era il Dio dei Perduti?
Il Subudibile?
Un orso? (Gli orsi ti tracciano solchi intorno mentre dormi?)
Non abbiamo strumenti per saperlo con certezza.
Ed è questa la cosa straordinaria di La bambina che amava Tom Gordon.
Quest’anno ho deciso di rileggerlo proprio in vista di una gitarella nei boschi, così, per mettermi nello stato d’animo giusto.
Secondo voi sono corsa a googlare “piante commestibili spontanee liguria”? Nooooooooo.
Qual è la vostra opinione su La bambina che amava Tom Gordon? Avete mai avuto occasione di leggerlo? Fatemi sapere!
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