Recensione: Non ci sono che ombre, Alessandra Stella

Come sfuggire alla dittatura delle paure? Non ci sono che ombre parla di un’eclissi, di come la depressione, ponendosi dinanzi alla bellezza, oscuri la mente e paralizzi l’azione; di come l’amore, assunte le sembianze di dipendenza, divenga nemico calato nei panni di sordi estranei ai quali, talvolta, cediamo il potere di definirci. Sopravvivere è liberarsi, delimitare i confini tra Sé e l’Altro per poter “muovere quel passo che scinde i corpi e lascia illesi i cuori”.

Non ci sono che ombre, libricino di esordio di Alessandra Stella mi ha tenuta quasi sospesa in una lettura che non volevo avesse fine, esplora tutto ciò che sta alla radice delle nostre paure. Ci illumina su sensazioni e sentimenti di cui si parla poco e spesso ci fanno sentire diversi, ma tutti in un modo o nell’altro ne abbiamo paura – al tempo stesso però – vogliamo esprimerli nella loro interezza.

Sono queste le prime impressioni che ho avuto leggendo le poesie di Alessandra, quasi una liberazione da ciò che teniamo all’oscuro, persino ai nostri stessi occhi.

Il filo conduttore del libro è il tormento fisico, psichico e ovviamente amoroso proveniente da una relazione tossica, ma anche la voglia di vincere una paura, il desiderio di libertà dai vincoli che ci vengono posti e che ci poniamo. Una piccola grande battaglia che viene vinta con le parole.

Ciascuna delle poesie presenti nella silloge è un contrasto di sentimenti diversi, ognuna mi ha stregata e impressionata in modo diverso.

Ha una scrittura semplice e coinvolgente, dai sentimenti densi, il tempo guarisce le ferite e c’è lo fa capire benissimo in Rettile:

Ed io desidero il sole anche di notte
con incerti passi vado in cerca del perdono.
Come rettile il mio sangue gela
non posso vivere all’ombra delle ore.

Lento, il ticchettio del rubinetto
che le gocce perde come me le strade.
Nessuno a stringere i suoi pomelli,
nessuno a stringermi tra i suoi gioielli.

Si piange, è vero, nei ritardi per i dubbi, ma
ha più gusto la frenesia del poi che si fa ora.
Impostori sono i maledetti della perfezione
che mai scompongono i minuti in emozione.

Dagli occhi si capiscono tante cose e Iridi è una di quelle da lacrime:

Scoprimi gli occhi
srotola le iridi che
fanno una linea del tempo
e leggimi il passato.
Mescola il verde al marrone
e fondiamo i ricordi
come fossimo insieme
da sempre. Ora
ripartiamo col tessere
i minuti che mancano
al nostro incontrarci
la prima volta.
Salda i tuoi intenti ai
miei intenti, affiancami
per non doverci
rincorrere mai.
Eleviamoci al quadrato,
anzi, al cubo o ancor di più
fino a inghiottire l’Universo.
Così, basterà baciarci
per sentire l’infinito.

Leggere queste poesie è stato un vero piacere, e le parole facenti parte di questa silloge poetica mi hanno fatta sentire compresa, mi ha fatto muovere quel passo che scinde i corpi e lascia illesi i cuori.

Per concludere vi lascio con la meravigliosa Fiordalisi:

Ho sempre pensato
non esistessero gli adulti,
ma solo bambini con indosso
strati e strati di tute rigide
ogni anno più grandi.
E la conferma alla mia teoria
l’ho avuta dal dolore.
Il dolore è come una fessura
attraverso la quale
scopriamo d’essere innocenti.
Ci accomuna tutti e,
oltre quella crepa,
nascondiamo morbidezza.
L’incompresa, demonizzata e
perseguitata morbidezza
ha necessitato scudo;
noi abbiamo risposto
avvolgendoci in sfoglie chimiche
e velenose.
Esistono due modi
per fronteggiare questa verità:
ce ne si vergogna,
ed è così che nascono
odio e intolleranza;
oppure, si muore
di sensibilità.
I sensibili sono i codardi del
popolo,
gli eroi delle minoranze e
i martiri dell’onestà
perché non mettono toppe
sulle scuciture dell’armatura.
Camminano in pericolo, ma
funzionano da specchio
entro cui i più
si riflettono in segreto.
Devono morire
affinché gli altri vadano avanti;
morire metaforicamente,
spegnersi e non
porre più interrogativi;
cessare d’esser lume ai rischi,
lasciare i naviganti
sperimentare la deriva.
I sensibili sono bambini
che inventano giochi e poi
li abbandonano, restando
a guardare gli altri divertirsi.
Sono, prematuramente, grandi
in attesa d’essere raggiunti,
consapevoli quelle distanze
non possano trovare riduzioni.
E, quindi,
sono solitudini accettate;
fiori annaffiati dalla nostalgia.
Germogliano bellezza,
sfrontata perché satura di rabbia
che, nascosta, si proietta
nel gesto di chi coglie e uccide
i fiordalisi e la purezza.

Non ci sono che ombre, Alessandra Stella

Non ci sono che ombre, Alessandra Stella

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