Attese e Miracolo.

Ricordo bene le volte che l’ho aspettata sotto casa sua. Arrivavo in orario pur sapendo che sarei rimasto lì. Mi metteva ansia, un po’ di nervosismo e le scrivevo di muoversi. Quando apriva il portone le avrei chiesto di rifarlo mille volte perché vederla uscire dal niente era come un miracolo. Mi è tornata in mente la prima volta che doveva venire a casa mia. Ed ero sempre io a dover aspettare. Volevo che tutto fosse perfetto, anche se dicono che è difficile e suona strano vedere un uomo con la casa troppo in ordine. Sembrerebbe da psicopatico. Ma nel dubbio, meglio apparire uno psicopatico ordinato che uno disadattato. Sentivo i suoi passi mentre ancora era a casa sua: chilometri di battiti fino al mio portone. E pulivo angoli remoti del letto mentre lei si infilava il vestito. Buttavo cibi scaduti mentre lei cercava di arrivare alla cerniera che le accarezzava la schiena. Ah, quanto avrei preferito essere lì. Avevo trovato un vecchio maglione caduto in disgrazia dietro l’armadio. Non volevo esplorare oltre. Una casa perfetta, ci avevo impiegato poco. Come poco ci avrebbe impiegato lei ad arrivare. Era in ritardo di cinque minuti. L’ansia aumentava, soprattutto dopo quella fatica. Dieci, venti. Mezz’ora. Suona il citofono. Infarto. “Chi è?” “Aspetti qualcun’altra?” . Non rispondo nemmeno, mi specchio nei miei occhiali mentre la sento salire le scale. Alito sulla mia mano, che ancora odora di Viakal, ma è troppo tardi. Eccola sta per apparire sul pianerottolo. Chiudo il mio portone. Aspetto che bussi. Bussa. Guardo lo spioncino, lei lo deve aver sentito perchè saluta. Lo chiudo. Lo riapro e la vedo innervosirsi un po’. Sorrido, penso che sia quasi lo specchio delle mie attese. Apro il portone. E’ bellissima. “Che ordine. Sei mica un serial killer?”. Panico. “Mi piacciono gli uomini ordinati”. Il miracolo.

Attese e Miracolo, citazione di Eugenio Curatola

 

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