“Tandem” di Bosso e Mazzariello: Musica che riempie la stanza di note e di poesia

Bosso

Consapevole che “Tandem” – l’ultimo lavoro discografico (per la Verve) di Fabrizio Bosso, realizzato in duo con Julian Oliver Mazzariello e con la partecipazione di Fabio Concato e Fiorella Mannoia – non è un qualcosa che può essere ascoltato superficialmente, ho aspettato il momento più congeniale per farlo. Attesa che viene ripagata da subito. Le prime note, idealmente, mi trasportano in un’atmosfera raffinatamente impalpabile. D’istinto chiudo gli occhi e il suono magistrale della tromba mi fa ricordare che, Vasilij Kandinskij aveva associato a tale strumento il colore giallo. E, ascoltando Bosso, penso: «Come dargli torto (a KandisKij)!».

Dei veri e propri lampi di luce i brani che si susseguono. Disarmanti. Quasi come le luci rappresentate nella “Notte stellata sul Rodano” di Van Gogh. E mentre sono immersa in questa immagine, Concato – con “Gigi” – puntualizza: “[…] noi quaggiù col naso in su a capire cosa sia”. Nient’altro che musica che “riempiva la stanza di note e di poesia”. E così, tra note e poesia, i lampi di luce dal Rodano – con Concato – si spostano sui Navigli, per poi illuminare il Golfo di Napoli (“È un bel lavoro fare musica sempre in giro come adesso che sto a Napoli…”), fino ad arrivare – sullo sfumare del brano – sulla spiaggia di Ipanema.

Il lampo – non più di luce, ma di genio – si spegne. Giusto il tempo di riprendere fiato – non solo per Bosso – ed è nuovamente luce. In un crescendo. Il piano di Mazzariello stuzzica scherzosamente la tromba, che si presta ad un brioso gioco (in “Wide Green Eyes” e in “Dizzy’s Blues”). E così, divertita, torno a guardare l’immaginario cielo stellato, pensando: «Bossi e Mazzariello mi hanno proprio “[…] fatto un brutto scherzo…”. Come se mi avessero dato, “invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere…”».

(Ph: Simone Cecchetti)
(Ph: Simone Cecchetti)

Nemmeno il tempo di pensarlo e le luci – tornate soffuse e rarefatte (con “Luiza”) e poi ancora brillanti (con “Goodness Gracious”) – si spostano e si riflettono sul Lungotevere. Roma, le hai scelte proprio “tutte le stelle più brillarelle che c’hai”. Qui, l’emozione prende il sopravvento. Scorrono immagini e ricordi passati, “[…] come passa quest’acqua di fiume che sembra che è ferma. Come la lacrime tornano agli occhi e ti fanno più male”. Ma questa è un’altra canzone. Per fortuna ci pensa la Mannoia, chiedendo: “Roma nun fa’ la stupida stasera, damme ‘na mano a famme dì de no. Spegni tutte le stelle più brillarelle che c’hai, nasconneme la luna se no so’ guai…”.

E mentre cerco di riemergere dal vortice dei ricordi – frastornata dalle emozioni – rimango ancora in balia dei “mulini al vento della mia mente” (grazie all’esecuzione di “Windmills of Your Mind”).

Difficile andare controvento. Impossibile contro cuore. Soprattutto, quando, le note iniziali di “Taxi Driver” ti si insinuano dentro. Ormai siamo alla resa finale. E sì. Questa volta, infatti, le luci non sono all’esterno. No, troppo semplice. Il brano finale è introspettivo. Un dialogo interiore. Le armonie delicatamente arrivano nei meandri più reconditi dell’animo e – una volta giunte a destinazione – deflagrano in una miriade di frammenti. Schegge di luce impazzite. Non più “quaggiù col naso in su a capire cosa sia” – Caro Concato -, ma “sarà il tempo in cui finalmente farai il tuo concerto, anima mia”.

 

L’ultima nota. Il silenzio. Il buio. Con il buon Salvatore Quasimodo che mi ricorda: “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.
Ma io non lo ascolto. Anzi. Ascolto altro. “Tandem”, di nuovo.
Nella stanza ritornano note e poesia: ed è subito luce.

Rosy Merola