Meglio avere un gatto che vincere il Nobel: parola di Doris Lessing

Quando, nel 2007, Doris Lessing ha vinto il premio Nobel in quanto “cantrice dell’esperienza femminile”, “epicist of the female experience”, in molte delle sue foto pubblicate nei giorni immediatamente successivi al premio la scrittrice è ripresa insieme a un gatto e in alcuni degli articoli, usciti sempre in quella occasione, viene citato il gatto presente nella sua casa, disturbato, secondo la scrittrice, da giornalisti e telefonate. Nel 1967 Lessing ha pubblicato Particulary Cats, in italiano “Gatti molto speciali” (La Tartaruga, Baldini Castoldi Dalai, 1990).

In questo libro compare il racconto breve Rufus, che si conclude così: «Quando si conoscono i gatti, quando si è passata una vita insieme ai gatti, quel che rimane è un fondo di sofferenza, un sentimento del tutto diverso da quello che si deve agli umani: un misto di dolore per la loro incapacità di difendersi, e di senso di colpa a nome di tutti noi». Il rapporto con i gatti, dunque, significa dolore, sofferenza, morte e senso di colpa. Esplicitati appunto alla fine del racconto Rufus, questi temi pervadono interamente il libro “Gatti molto speciali”. Sono sentimenti e sensazioni molto diffusi tra le persone che hanno a che fare con i gatti (al plurale) e soprattutto tra quelle che si occupano di gatti senza padrone, le gattare.

Lessing non è una gattara, ma nella sua vita i gatti vanno e vengono, come entrano ed escono dalla sua casa di Londra. Escono e talvolta non ritornano, non si sa dove finiscano. Ogni tanto spariscono, sono rapiti dai vivisezionisti – e la gente «sospetta gli ospedali dei quali siamo circondati – o dai procacciatori di pellicce di gatto». Non è possibile prendersi cura di tutti i gatti, difenderli tutti dall’orrore e dalla cattiveria del mondo. Sono tanti; sono individui, sempre, uno diverso dall’altro, ognuno con il suo carattere e le sue abitudini, ma sono tanti.

Tratto da un suo libro:

Abitava a Teheran, racconta, e aveva raccolto un gattino che stava morendo di fame – come in natura capita alla maggior parte dei cuccioli, anche umani – e lo aveva portato a casa.

«Per quel gattino lottai anche quando tutta la famiglia si rifiutava di accoglierlo». Una lotta strenua, in cui sembra che la bambina sia uscita vincitrice, dato che il gattino a casa è arrivato e la bambina l’aveva tenuto con sé. Ma, alla fine, la famiglia lascia la Persia senza il gatto. Che cosa gli successe? Forse rimase lì, forse morì. Non si sa. «Come fare a saperlo? – scrive Lessing – in ogni modo, da qualche parte, laggiù, una bambina piccolissima aveva lottato per tenere con sé, e aveva vinto, un gatto che le teneva compagnia giorno e notte; e poi lo aveva perduto». Una perdita antica, originaria, irrimediabile, una ferita così dolorosa da cancellare i dolori successivi (la perdita di un gattino subita da bambina è un tema ricorrente nella vita di molte gattare).