Vecchi libri di inglese

Può succedere che quando dai la maturità (specialmente se la dai in un liceo scientifico e a tu hai in odio matematica, fisica e informatica) ti ritrovi a rinchiudere con sadico piacere tutti i tuoi libri in uno scatolone, passando più strati di nastro adesivo onde evitare che saltino fuori da soli e vengano a cercarti.

Può succedere che, all’indomani dell’iscrizione all’università (in un corso completamente estraneo ai tuoi precedenti studi), ti ritrovi di nuovo nella stessa cantina e, scorti quegli scatoloni con la coda dell’occhio, li sposti in un angolo di cantina ancora più remoto, per fare spazio a cose più importanti tipo lo Chalet di Barbie (che magari lo userà un giorno tua figlia) o il costume di carnevale da Tartaruga Ninja (che magari lo userà un giorno tuo figlio).

Ma può succedere anche che, passati gli anni, ti laurei, ti fai sfruttare in uno stage, trovi lavoro, ti sposi,ti trasferisci lontano da quella cantina… e poi scopri che andrai una settimana a New York con amici.

Così, convintissima di sapere l’inglese come quando avevi dato il P.E.T., provi a guardare un film in lingua madre.
Arrivata all’inizio del secondo tempo ti segni sull’agendina “passa dai tuoi a prendere il libro d’inglese” per poi ricordarti che i libri in realtà erano tre.. o forse quattro? E sorgono altri dubbi: ma li hai ancora tutti tu? Li hai mica prestati? Venduti? Bruciati? Ah no, ti confondi con quelli di matematica… Comunque sia torni a casa dei tuoi e vai a scovare quei vecchi scatoloni. Con tanta pazienza. Perché sono finiti alla base di una muraglia di altre scatole col tuo nome scritto sopra a caratteri cubitali (il cui significato recondito era, probabilmente, “sono tuoi, portali al tuo domicilio che qui c’è già abbastanza casino“), perché in cantina fa freddo, perché nel mentre tuo padre chiede pedissequamente “ma porti via qualcosa?” E tu “un libro”, “Ah, solo uno?” e perché ti piacerebbe perdere una giornata ad aprire ogni singola scatola ma è già tanto che hai preso lo slancio per recuperare il libro d’inglese, o adesso o mai più.

Così, individuato finalmente lo scatolone “libri liceo” contenente il corso d’inglese (non ti confondi, ricordi ancora il momento in cui li hai impilati e chiusi), smadonni per tirarlo fuori, levi il nastro adesivo con le unghie (taglierina? What is this?) e…

L’odore.

L’odore è la prima cosa che ti colpisce.
È l’odore ormai dimenticato della scuola, precisamente del mix di detergenti che usavano le bidelle tuo ex liceo.. e da lì in poi è un’irrefrenabile reazione a catena: l’odore delle aule appena pulite al mattino, l’odore della tua mano sudata mentre scrivi di fretta un compito, l’odore di “vissuto” sul pulman di ritorno dalla lezione di ginnastica al palestrone.. l’odore del bar e delle sue pizzette che ti hanno nutrita in cinque anni di liceo.

E già questa è un’enorme botta emotiva.

Poi apri il libro ma non ce la fai a leggerlo come lo leggevi una volta; come fai a concentrarti sui capitoli di grammatica quando di fianco più che appunti pertinenti trovi messaggi lasciati dalla tua vicina di banco? Ovunque ci sono sigle tipo “t.v.1.k.d.b.”, “F.t.a.t.”, “G. 6 1 F”, “D.t.v.b.”, poi disegnini, nuvolette, faccine.. “tra l’altro fatti proprio di merda”, pensi dall’alto dei tuoi 3 anni di IED e dei mesi nello studio di animazione.
Incredula guardi la muraglia di stelline rosa-fluo sull’intestazione del terzo capitolo: ma cosa facevi durante le lezioni? Quanti minuti ci hai perso? Quanta attenzione hai sottratto alla spiegazione dell’insegnante?
E quando finalmente prendi un po’ di concentrazione sulla ING-form a fianco del titolo leggi “abbasso la tacchinaccia!” (il cognome della mia prof di inglese era il nome di un pennuto da cortile, ndr) e scoppi a ridere.
Non ce la fai, scorri tutte le pagine e in ogni angolo “raccogli” un frammento di te, di ciò che eri più di dieci anni fa, di quanto eri diversa, di quanto erano diversi i tuoi amici e gli adolescenti in generale. E leggendo altre esternazioni tipo “10.10.99, minchia che rottura di cazzo!!!!!! Voglio uscireeeeeeeee!!!!” ti viene il dubbio che tu non sia stata così diversa dalle bimbominkia che critichi oggi.

In alcuni punti trovi le citazioni: “Xxxxx ha detto che Xxxx è un culo!” con segnate anche data, ora e numero dell’aula. Così ritornano alla mente un mucchio di nomi e cognomi che non fosse stato per Facebook col tempo avresti dimenticato. E pagina dopo pagina ritrovi tutto quello che era il tuo mondo quando avevi 15-16 anni: le tue insicurezze (quante ne hai superate? quante sono rimaste?), i desideri che avevi allora (una tastiera nuova con cavo midi, un 125, avere dieci chili di meno e un moroso in più…) i problemi con i prof, le incomprensioni coi genitori… Un’altra vita. Eppure eri sempre tu. In fase di lavorazione, certo, ma già si capiva che avresti suonato e disegnato, che avevi una testa parecchio dura ed una propensione al melodramma alle prime difficoltà.

Così il magone sale e quel che è peggio è l’irrefrenabile desiderio di tornare indietro nel tempo per ricordarsi quanto è bello imboscarsi al bar durante l’ora di religione, per dire finalmente a Tizio che ti piace, a Caio che ti dispiace esserti comportata male con lui e a Sempronio che se ne può andare a fanculo.
Vorresti andare da te stessa a dirti “guarda, non ti dannare così tanto a studiare fisica, tanto nessuno ad un colloquio ti chiederà con quanto sei uscita dalla maturità e tantomeno se sai com’è fatto un motore ad elettroni… piuttosto studiati bene quella canzone che a tal concerto la suonerai di merda!”

E poi sì… vorresti tornare da qualche prof a dire “si, aveva ragione. Se ho preso l’insufficienza non è perchè lei è stronzo/a, ma perchè sono una cazzona io che non ho studiato!”

Ma non lo puoi fare.

Puoi solo sorridere.
Perché durante quei cinque anni di liceo tutto, da un 2 sui numeri irrazionali alla carta dell’ultima merendina presa alle macchinette e rimasta lì, in mezzo alle pagine del capitolo 20, ha lasciato una traccia indelebile dentro te. Paure e certezze sono nate tra quei banchi, il tuo modo d’essere, il perché dei tuoi comportamenti, il come affronti ogni giorno il tuo lavoro ha ragione d’esistere grazie a quegli insegnati, quei compagni e quanto ti è stato detto tra quelle quattro spesse mura.

Poi chiudi il libro, torni al presente… e convieni sempre che si, abbasso la Tacchinaccia che se hai ancora dubbi sulla -ing form è senz’altro colpa sua 🙂

 

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.