Non è un problema.. è un’opportunità

Perché ricordatevi gente: un problema non è un problema… ma un’opportunità. Yuuuuhuuuu!
(Cit. Luigi Calimero)

Qualche giorno fa mi stavo giusto domandando che scrivo sul blog che è da un po’ che latito?.
Ebbene.. Il destino, o chi per esso, ha provveduto immediatamente a fornirmi dell’ottimo materiale.
E detto tra noi… il destino poteva anche farsi una badilata di affari suoi.

Tutto comincia quando decido di non tornare a casa domenica notte con Robi (come originariamente programmato) ma mercoledì pomeriggio in treno, visto che lunedì si prospetta una giornata a Torino con mia sorella e martedì potrei andare dalla parrucchiera e alla sera a fare le prove del Melody Rock.
Così mi ritrovo mercoledì, sul binario 3, con una strana sensazione di stordimento pre-influenza (mal di testa, male alle orecchie e mal di gola) che peggiora ulteriormente dopo che salgo sul treno.
Trenitalia, o “Merditalia” (come adoro chiamarla), mi fa la grazia di un treno in orario; ciononostante il mio viaggio viene turbato prima di tutto dall’anziano prete che si scaccola davanti a me, poi da uno straniero che in una lingua mai sentita prima conversa a voce alta al telefono e da svariati viaggiatori con le suonerie a volumi da rave party (in barba al nuovo avviso che recita il capotreno prima della partenza).

Curiosamente, durante tutto il viaggio stringo le braccia sulla borsa del portatile che contiene un hard disk di inestimabile valore: sopra ci sono tutte le foto e tutti i video (ancora sforniti di Back-Up) di una vita. Siccome mi conosco e so quanto io abbia la memoria a breve termine, evito anche solo di posarla nel sedile di fianco al mio. Il trolley invece viene sistemato sulla cappelliera, sopra alla mia testa.

Arrivo in stazione a Milano Centrale, scendo e mi assicuro di avere la borsa con gli effetti personali e quella del portatile sotto al mio braccio, dopodiché a passo spedito scendo in metropolitana (sempre con la testa dolorante e con pure il mal di schiena perché il macbook e l’hard disk fanno un certo peso sulla mia spalla). Mentre faccio le scale che portano dalla stazione dei treni a quella della metro, il mio occhio cade su quell’inutile nastro trasportatore per valigie che han messo di recente -forse per distogliere l’attenzione dallo schifo che fa il resto della stazione- e una brutta sensazione inizia a farsi largo tra i miei pensieri.
-Porc** put**, il trolley!!!!!-. Esclamo e corro come una pazza fino al piano dei binari.
Do’ un’occhiata all’orologio e mi rassereno: il treno parte tra un bel po’, quindi ho tutto il tempo di ritornare al binario 4 dove c’è il mio interregionale per Torino. Sempre con tutti i miei acciacchi e con in più il fiatone mi affaccio alla mia carrozza (la terza).

Non c’è traccia del mio trolley.

“Calma, non disperare: saran passati quelli delle pulizie” mi dico, memore di quando ero pendolare ed ero solita vedere l’impresa di pulizie come giungeva il treno al capolinea. Corro dal capotreno a cui chiedo se quelli delle pulizie han per caso preso il mio bagaglio abbandonato (d’altronde c’è un messaggio che passano ogni cinque minuti in stazione, cioè che i bagagli abbandonati vengono ispezionati per sicurezza… magari il mio li solo avrà destato qualche sospetto?) ma lui, che avrà si e no la mia età e che ha tutta l’aria di un mancato hippy a cui il padre ha trovato lavoro per evitare che diventasse un tossico, risponde:
-No guarda.. se son passati solo cinque minuti non può avertelo preso la ditta di pulizie… quelli arrivano ben più tardi-. “Se arrivano” sembra suggerire l’espressione che ha in volto.
Tutta via questo mi spedisce alla Polfer e, mentre cammino, penso: se io a questi dico che ho solo vestiti e mutande sporche nel trolley.. avran voglia di scrivere il verbale o mi manderanno a cagare?

Ovvia risposta: la seconda che hai detto.

Con una punta di rassegnazione (già solo quando dico “non ho più trovato il bagaglio” sul volto del poliziotto si dipinge a chiare lettere il messaggio “ma che cazz* vuoi da me?”) mi sento dire che devo andare all’assistenza clienti e a quel punto vorrei obiettare che le denunce di smarrimento non si fanno li, ma in quell’ufficio dal quale mi sta chiaramente mandando via.. però lascio perdere. Già so. E nemmeno vorrei fare la fila, ma alla fine vedo che gli addetti all’assistenza sono in tre e sbolognano facilmente le persone (tra cui anche stranieri che scambiano quel posto per la biglietteria e gente che domanda di poter ri-usare biglietti già obliterati), così in soli tre minuti tocca a me.
“Senta, io ho lasciato il mio trolley sul treno per Torino..”
“Eh, ma se è già partito non deve chiedere qui…”
“No, il treno c’è ancora.. è il mio trolley che non c’è più”
“Gliel’avran rubato.. faccia denuncia alla Polfer”.
Gli rendo noto che è la Polfer che mi manda li e forse la mia espressione del “non mi aspetto niente di utile o edificante da lei” lo incita a rendersi un pochino più partecipe:
“Guardi io non le ho detto niente.. ma giù al piano terra, non so dove, ci sono gli uffici della ditta di pulizie, chieda se sanno qualcosa..”.

Credetemi, Treni-merd-italia in tutta la mia vita ha sempre e solo ispirato istinti omicidi: vuoi per le condizioni dei treni, per gli abbonamenti con aumenti-truffa, i ritardi, il personale a volte non solo incompetente ma pure arrogante, per il sito che spesso da presenti treni che in realtà non ci sono… Ma ormai, a 28 anni, l’unico sentimento che mi sovviene -mentre cerco di ricordare cosa è andato perso col mio trolley- è quello della rassegnazione: lo sai Paola, vivi in Italia, stai avendo a che fare con Trenitalia, con una stazione che riordineranno e ripuliranno solo per l’Expo 2015, che pretendi? Che abbiano un ufficio oggetti smarriti? Che ci sia qualcuno che ritiri le cose abbandonate sul treno? Che se ti dimentichi per cinque minuti scarsi un trolley tu lo ritrovi? Che qualche anima pia faccia che leggere la targhetta del trolley col tuo indirizzo e numero di telefono, ricontattandoti? Va là, va…

Comunque per scrupolo faccio ancora un salto sul treno e un dipendente mi ferma:
-Ma lei ce l’ha il biglietto?-.
“Muori” vorrei dirgli. Ma che ne sa? E allora gli spiego.. mi lascia salire per controllare un’ultima volta e ovviamente del mio bagaglio non vi è traccia.

Mentre prendo la metro per San Donato mi viene in mente tutto il contenuto che è andato perso: un vestitino nuovo da 13 euro, vabbé… poi c’era il vestitino di lanetta che già faceva pallini… ok, tre o quattro mutande sporche, i leggings marroni, i leggings neri, i pantaloni della tuta.. gli stivali belli per fortuna li ho ai piedi, quelli neri e il giubbotto ringraziando Dio avevo deciso di lasciarli dai miei e di non stiparli nel trolley…
…la reflex…
che fortunatamente era da cambiare e montava fortunatamente un’obiettivo scrauso con su una schedina fortunatamente backuppata…

Infine, quando rimetto piede in casa (dopo aver comunque smarrito la pashmina presa a Istanbul al centro commerciale di Pantigliate… che dire, era destino, dovevo chiudermi in casa ed evitare di uscire!) mi sovviene la cosa affettivamente più preziosa che ho perso.
Le magliette dell’Hard Rock di New York e di Tampa.

E li si, tiro giù un santo. Concedetemelo. Soprattutto la maglietta di NY: era un cimelio, un ricordo bellissimo di cinque giorni fantastici con i miei amici… in una città che adoro.

Comunque con un’insolita facilità (perché son maturata e son più paziente o semplicemente perché sono rassegnata?) ho messo una pietra sopra a questa faccenda, pensando che tanto è andata com’è andata e incavolarmi non serve a nulla. Posso solo vederla positivamente, cioè che potevo perdere la borsa del portatile con l’hard disk. Li si che avrei pianto ed eventualmente ucciso qualcuno. E se vogliamo vedere questo problema come un’opportunità… mio marito oggi mi ha mostrato il depliant di una Nikon (che avremmo comunque preso dato che la Canon iniziava a dare i numeri) e dichiarato che comunque una terza volta a New York e una seconda a Tampa ci sarebbe stato volentieri.

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.

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