l’ I-day

E prima o poi arriva.
No, non intendo il parente inopportuno che suona il campanello mentre il bambino dorme, la macchia di sugo sulla maglietta bianca nuova di pacca o l’influenza intestinale sotto le feste.

Sto parlando del fatidico giorno in cui mamma chioccia porta il proprio pulcino all’asilo nido e si trova ad affrontare con lui l’inserimento (a cui ho voluto dare un evocativo nome in codice: I-day).

Dato che la decisione è stata parecchio travagliata e ricca di sensi di colpa misti all’impellente bisogno di riprendere un po’ in mano la mia vita, mi sembrava terapeutico raccontare a voi che capitate su questo blog (il più delle volte per errore, dato che Little Cinderella è anche il nome d’arte di una pornostar americana) le tappe di questa importante decisione.
E si, nutro in segreto la speranza che qualche mamma tra di voi mi dica “tranquilla Paola, non sei ABnormal, è stato così per tutte”.

I-day – 15 mesi.
Capezzoli in fiamme, mastite e quel malessere tipico di chi era abituata a vivere senza orari ed ansie e di colpo si ritrova alle dipendenze di un piccolo, indifeso esserino perennemente affamato. Il momento pre-poppata poi è l’apoteosi del disagio: il nanetto, puntuale come un orologio svizzero, allo scadere delle tre ore di nanna si sveglia già piagnucolando e, tempo del cambio pannolino (con scherzetto della fontanella annessa, of course), parte lo strillo bitonale (si, mio figlio piangeva come la sirena dell’ambulanza); con gli occhi ancora doloranti per il poco sonno (mi dicono che sono fortunata ma al momento stento a crederci) mi trascino dal mio giaciglio momentaneo ad uno in cui possa stare seduta, tento di sistemarmi i cuscini e conto: uno.. due..
E zac. Dolore atroce. Con la grazia di un’idrovora il bimbo si attacca, io mi domando dove l’abbiano vista tutta sta poesia nell’allattare le altre mamme, le stesse che mi garantiscono che le mie tette si regoleranno ed io non dovrò più passare il poco tempo libero rimasto ad avvolgermele in asciugamani caldi e tirarmi il latte, che prenderò l’abitudine di circondarmi di tutto il necessario PRIMA e non DURANTE la poppata (cosa mai avvenuta in undici mesi di allattamento).
Insomma, basta resistere questi primi tre mesi e poi tutto sarà in discesa.
Anche perché, marito mi fa’ notare, a pochi passi da casa hanno appena aperto un nido e noi, che siamo lontani 130 Km da parenti e amici fidati, avremmo tutto il diritto di non sentirci in colpa nel lasciarcelo qualche ora.

I-day – 12 mesi.
Finalmente le mie tette si sono calibrate: niente più ragadi e mastiti, il tiralatte giace inutilizzato nella sua confezione in bagno e il pupo dorme quasi sette ore filate la notte. Certo, non è ancora regolare coi riposini e grazie al suo peso forma da seimesenne (nonostante di mesi ne abbia solo due) la mia schiena è a pezzi.. ma adesso lo so gestire con molta più sicurezza. “Ahahah” dico a marito: “che ti ricordi quando volevamo lasciarlo al nido? Ma chi se lo fila, lasciamo il posto alle mamme lavoratrici che io sto a casa con lui e me lo spupazzo fino alla materna!”.

I-day – 9 mesi.
Ora che il nano sta seduto e rimane imbambolato dalle lucine e dalle musichette della palestrina non mi ferma più nessuno: riesco a fare qualche lavoro, andare in bagno, cucinare e persino ad accendere il portatile e scrivere sul blog. Inoltre genitori e suoceri si offrono di tenercelo casomai avessimo dei concerti o anche solo voglia di passare una sera da soli.
Del nido ormai non mi accorgo più nemmeno quando ci passo davanti.

I-day – 5 mesi.
A metà maggio, nonostante sia quasi riuscita a conciliare casa, bambino e attività pre-maternità, arrivano gli attacchi di panico.
La causa è, per l’appunto, il cercare di conciliare tutto senza accettare alcun aiuto esterno alla ricerca dell’approvazione sociale: dato che sono casalinga (per molti è una colpa, sia essa una condizione di forza maggiore o una libera decisione) è compito mio occuparmi di tutto perché non porto a casa i soldi. Poi ci sono un mucchio di altre piccole cose covate negli anni che, in un periodo ricco di stress e cambiamenti come questo, han trovato terreno fertile per crescere e non farmi dormire la notte.
A quel punto, tra una seduta dalla psicologa ed una chiacchierata con mamma, riaffiora d’idea: “ma portarlo al nido?”.

I-day – 2 mesi.
Iniziamo a scrutare il nido del paese. Non ci vediamo molto via vai e, chiedendo ad una vicina, mi viene fatto il nome del nido del paese vicino: privato ma, come mi confermano anche le Cream Mom (gruppo facebook che riunisce le mamme del cremasco), ne vale davvero la pena. Con una sicumera mai avuta telefono e fisso un appuntamento per il lunedì successivo.
Ovviamente la sera stessa sono nel letto con un attacco di panico che fortunatamente si scioglie presto in un pianto dirotto: il mio bimbo non è più una mia appendice, è semplicemente lui, con la sua identità e la sua storia da scrivere.. Ed eccola li la famosa ruota che gira di cui mi parla sempre mio padre: ora capisco la pena di essere mamma.

I-day – 1 mese e 3 settimane.
È il lunedì del colloquio e mi sento terribilmente sotto esame: non so come vestirmi, come vestire il bambino, ho paura che messa a confronto delle altre mamme si vedano tutti i miei difetti, che si capisca cosa ho passato, che il bambino che credo tanto speciale venga paragonato altri bimbi e, di conseguenza, giudicato.
Quante palle mi dico quando usciamo con il nano tutto contento col magnetino dell’asilo in mano: sia l’ambiente che la direttrice mi hanno fatto un’ottima impressione e poi vedere il nanetto gattonare in totale libertà per le stanzette ha dissipato ogni mio dubbio.
Certo, mi ha fatto un po’ strano lasciarlo vagabondare in un ambiente nuovo senza dovergli tenere costantemente gli occhi addosso.. ma è anche un piccolo, impercettibile assaggio di “libertà” dal mio ruolo di mamma 24h.

I-day.
E così arriva il tanto temuto/desiderato giorno. Come tutti si aspettavano, il mio nano ha giocato tranquillo dispensando sorrisi e “carezze” agli altri bimbi mentre io ho dovuto passare almeno tre giorni prima di sciogliermi e non preoccuparmi più di come sarei apparsa alle altre mamme e alle educatrici. In fin dei conti questo è anche il mio di inserimento: finalmente sto entrando in questa comunità cremasca che ho sempre e solo “sfiorato” in sei anni (al grido di “no, io a sto giro mi faccio i cadsi miei, mica come a Sangermano City!“) e che forse avrei potuto conoscere meglio senza attendere l’arrivo di un figlio.
Ma d’altronde: ogni cosa a suo tempo. Si vede che doveva andare così.

Oggi (quinto giorno di inserimento) è stato da solo un’ora, quando sono andata a riprenderlo mi hanno detto che è stato bravissimo e che, tolto un breve momento di crisi risolto col ciuccio, ha tranquillamente giocato e fatto il coccolone come suo solito.

E anche io, tolta un’ora di pianto a notte fonda il giorno prima di iniziare a lasciarlo da solo, sono andata benissimo.

Solo che anziché il ciuccio mi c’è voluta una tortina alla nutella.

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.