Di shopping e ansie connesse

E niente, è arrivato il fatidico momento del cambio armadio e tutte le saghe mentali fino ad ora rimandate sono comparse innanzi a me, ordinatamente in fila per importanza.

Non c’è dubbio: ho messo su peso.

Mi accollo tutte le mie responsabilità anche se spero sempre che un giorno un qualche esame mi dirà che non ingrasso per mia ingordigia ma per una qualche molecola fuori posto nel mio DNA e bon, nessuno potrà giudicarmi, men che meno io.
(Soprattutto io).

Dicevo, ho messo su peso e la psicanalisi mi porta ad un bivio: o mi accetto così come sono e mi rifaccio l’armadio o mi pongo l’obiettivo di perdere qualche chilo, senza ansia da prestazione e con tanta, tanta pazienza e costanze.

Stavo valutando seriamente la prima ipotesi, giuro, poteva essere il lieto fine di una storia di scarsa autostima, bullismo e saliscendi di peso. Ecco perché ho passato buona parte della scorsa settimana a visionare quegli outfit curvy, i capi da non perdere per nascondere le rotondità, i trucchi per sembrare più alte e slanciate.

E insomma, sono arrivata alla conclusione che forse era più semplice vivere a pane e acqua per un mese.

Punto primo: quando ti fai un giro di immagini “curvy” su pinterest il più delle volte trovi donne che hanno si la 44 ma sono alte un metro e ottanta.

Grazie al cazzo, eh.

Allora ho cercato se per caso ci fosse una qualche sottocategoria sfigata, tipo “curvy e bassy” ma no, male che andava ho scovato blogger che erano oltre il curvy (la mia generazione avrebbe detto “grassy” ma non sapevamo ancora cosa fosse il bodyshaming).

Così ragionavo su quanto fossero meglio i tempi in cui si andava dal sarto a farsi i vestiti su misura, perché ognuno è un corpo unico e l’omologazione dovuta alle taglie dei centri commerciali fa schifo, oltre che essere fonte di problemi alimentari e drammi adolescenziali.

Oltretutto, dopo mesi di sciatteria da quarantena e mancanza di voglia nel girare i centri commerciali quando finalmente siamo tornati liberi di pascolare, non ho neanche capito bene cosa andasse di moda e cosa no.

Mi pare di aver intuito che l’abbinata jeggins/vestito maglione sia finita. Peccato. Ci sono i pantaloni a vita alta che quando mi siedo mi schiacciano le budella (cosa che già capitava alle elementari e non avevo voglia di rivivere) ma mi garantiscono la schiena al caldo, al contrario di quelli a vita bassa e zampa di elefante che stanno tornando prepotentemente nelle vetrine ed io sento automaticamente il mal di schiena e la sensazione di bagnato sui polpacci (vi ricordate cosa capitava quando pioveva? Se no o siete boomer o degli sbarbatelli).

Non parliamo poi di questo revival degli anni ’90 che quando guardo una vetrina sento partire la sigla di Beverly Hills 90210 e mi sale la carogna per Kelly che si mette con Dylan.

E allora che caspita ti sei comprata? Vi chiederete dopo sto showcase di paranoie

Fortunatamente qualche stilista ogni tanto si accorge di noi donne non ascrivibili a nessuna categoria di corpi femminili e ci ha donato i modelli MOM o Boyfriend che stanno larghi ma non troppo e mi sembrano un ragionevole compromesso per andare in giro senza sfigurare.

Salvo quel cm di pelle che resta scoperto dal risvoltino. Però oh, non si può avere tutto dalla vita.

In uno slancio di autostima ho anche preso quei pantaloni che dovrebbero valorizzarti il sedere ma secondo me bloccano solo la circolazione sanguigna alle gambe… aspetto a dirvelo con certezza dopo qualche lavaggio.

Passando alle maglie il primo dubbio che mi ha assalito è: ma son scema io che con dieci gradi necessito di maniche lunghe e pancia coperta?

Poi mi sono ricordata dei pantaloni a vita bassa e delle maglie di lana corte che indossavo nell’inverno 2002/2003, dandomi serenamente la risposta: no, è che l’adolescenza l’hai finita da un bel pezzo.

Tornando alle maglie, la discriminante maggiore, a parte la capacità di ripararmi il più possibile dal freddo, era la stampa. Perché gli anni ’90 per me sono il decennio delle fantasie improponibili, oltre che di tessuti anti-traspiranti e pro-ascelle-pezzate.

E leva i pois.
Leva l’animalier.
I fiorellini microscopici no.
I colori simil-cacca nemmeno.
Il nero anche basta che ho l’armadio di Morticia Addams altrimenti.

Sono rimasta con due felpe, di cui una non mi piaceva per come cadeva eliminando ogni tratto distintivo del corpo di una donna (detta in parole povere: non valorizzava le tette e mi allargava). Poteva andare meglio ma, conoscendomi, non mi lamento.

Poi l’orologio ha scoccato le tre, il centro commerciale ritornava a riempirsi e avevo il pargolo da raccattare a scuola.

Con la stessa fretta di Cenerentola a mezzanotte mi sono fiondata in cassa e ho pagato, rinunciando ad ogni accessorio must-have propostomi dalla sorridente cassiera, tipo: la cintura, la mascherina, le calze corte (ma perché corte? Perchè??? Ho appena preso roba per coprirmi e tenermi al caldo, perché secondo te voglio esporre le mie caviglie al freddo?), i reggiseni, le cremine (ho la faccia di una che ha voglia di beauty routine? Mi vedesse Clio Zammatteo si sparerebbe un colpo!) e qualche altro cazzillo di cui non sapevo nemmeno l’esistenza.

Totale acquisti: una felpa, un paio di jeans ed un vestito lungo (preso a colpo sicuro perché già scrupolosamente selezionato sul profilo instagram del negozio).

Molte non lo chiamerebbero neanche shopping e in primis nemmeno io (preferisco “sbattimento”).

Tornando a casa mi domandavo se davvero fosse finito quel periodo di “compro per farmi figa” in quanto oggi mi trovo a domandarmi sempre più spesso “figa per chi? Per cosa?” che non vuol dire necessariamente trasformarmi in una sciatta donna di casa (anche se l’outfit tuta-pantofolone rimane il migliore, per me) ma neanche rincorrere i trend per non sentirsi esclusa, come poteva essere a quindici anni.

C’è probabilmente una saggezza che arriva col passare del tempo e con il superamento dei periodi di merda, una saggezza che ti indica cosa ti fa stare bene e ti spinge a non perdere tempo in altro che non sia la tua volontà: così una maglia che ti piace davvero la compri, una maglia che semplicemente è alla moda la lasci lì, se non ti dice nulla; i pantaloni che non ti stanno bene li molli alla commessa e ne scegli un paio che ti valorizzino, pazienza se gli altri li aveva indosso l’influencer di turno; lo shopping diventa sbattimento perché quello che compri deve piacere a te, non al resto del mondo.

Con buona pace per Carla Gozzi ed Enzo Miccio.

Shopping
Il risultato delle mie fatiche

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.