Le battute del casso

Correva l’anno 2007 ed io mi accingevo a fare il primo colloquio post laurea. Per la precisione, più che accingermi, stavo proprio correndo e con un tacco piuttosto alto dato che quel giorno la sfortuna, anziché limitarsi a baciarmi, aveva deciso di limonare duro.

Comunque. Sapevo l’indirizzo ma non sapevo che in città c’erano due vie intitolate a due persone dallo stesso cognome ma nome differente. Ovviamente, con il 50% di possibilità di azzeccarci, mi sono presentata all’indirizzo sbagliato accorgendomene dal numero civico mancante. Ovviamente, l’altra via non era vicina. Ovviamente la macchina era ugualmente lontana da tutte e due, e correre per riprenderla e cercare a quel punto un parcheggio più vicino, in centro, alle sei di pomeriggio sarebbe stato un suicido. Ovviamente con me non avevo alcuna cartina e GoogleMaps su smartphone era qualcosa di pressoché avveniristico. Soprattutto (proprio perché la sfiga mi si voleva fare di brutto) la batteria dell’immortale Nokia 3310 mi aveva abbandonata mentre componevo il numero di papà, il solo in famiglia che ancora oggi viaggia con le cartine della città in auto.

Unica nota positiva: ero vicina alla tabaccheria del mio prof preferito delle medie e l’ho fatto morir dal ridere irrompendo con “Prof! Mi serve il telefono! Ho un colloquio ed ho sbagliato indirizzo!” .

Dopo aver avvisato (già in ritardo) il titolare dell’azienda, mi sono fiondata per qualcosa tipo un chilometro con i tacchi e la tenuta professionale che, a fine corsa, di professionale aveva ben poco; di conseguenza, alle sette meno un quarto, mi presentavo con una stretta di mano umida e un’ espressione a metà tra il gatto con gli stivali di Shrek e un Cristo sofferente.

Ora, il succo del discorso non è la sfiga che, quando mi becca, s’impegna parecchio (ma mai in maniera grave, precisiamo). Nonostante il mancato scrupolo di guardare una cartina prima di partire da casa, il fatto di essermi messa in ordine e di aver sputtanato il mio aspetto dieci minuti prima del colloquio, la pessima sorpresa delle vie, la batteria di un telefono mai scarico che decide di abbandonarmi proprio in quel momento di massimo bisogno, la pessima idea di parcheggiare un po’ distante per farmi una passeggiata rilassante, quel che più mi irritò fu la domanda: “Hai intenzione di avere figli?“.

Una domanda totalmente inutile, dato che la faccia del titolare esprimeva tutto tranne che l’intenzione di assumermi. E aveva ragione: nemmeno io, dopo un ritardo di 45 minuti, mi sarei data quel posto di lavoro. Ma quella domanda (alla quale oltretutto risposi NO, intonando pure una risatina nervosa, a metà tra l’incredulo e l’imbarazzato) la sentivo così stupida e fuori luogo da provocarmi una reazione ben più viscerale, tipo: “scusa ma a te cazzotene?“. Avrebbe potuto semplicemente dirmi “no, guarda,tempo scaduto, ho da fare, la prossima volta arriva per tempo“, oppure “il tuo portfolio mi provoca contemporaneamente diarrea ed emorroidi sanguinolente” o anche “yooooooou’re fiiiiiiiiiired!!!” con tanto di gesto alla Donald Trump. Ma pormi una domanda che a prescindere non andrebbe fatta in nessun colloquio per nessun tipo di lavoro, mi sapeva di grottesco: ti pare che a 23 anni, neo-laureata e col conto prosciugato dalle rette universitarie io pianifichi dei figli? Adesso? E comunque perché mi devo trovare a recitare la pantomima dell’aspirante donna tutta carriera e zero famiglia per raggranellare un posto come grafica junior malpagato e senza molte prospettive di carriera? Che chiariamo: già sapevo che, una volta entrata nel magico mondo del lavoro, avrei mangiato murda a tutto spiano; avevo già messo in conto di dover lavorare molto e per un esiguo compenso, con contratti al limite del legale e ferie inesistenti.. Però che il mio titolare dovesse imporre la sua autorità sulle mie ovaie, per 900€ scarsi al mese NO, anzi, manco ne avessi guadagnati il triplo: come già si è detto, l’utero è mio e lo gestisco mio. Vuoi evitare questo problema gravoso della gravidanza? Assumi un uomo. Che non rimarrà mai incinto ma non potrà comunque garantirti che non si ammalerà, né che si spaccherà un arto, né di non aver bisogno di prendere sei mesi di aspettativa perché in questo la vita è estremamente meritocratica: i casini capitano sia ai pene-dotati che alle vagino-dotate.

Questo andavo a ripetermi sulla via del ritorno, salutato il mio mancato capo e in prossimità del parcheggio (a quel punto con un passo decisamente più tranquillo). Tuttavia trecento metri ed il sole che tramontava, assieme ad una sigaretta che non pensavo nemmeno di avere in borsa, mi aveva fatto tornare di buon umore; talmente tanto da pensare che, infondo, quella domanda poteva essere una battuta goffa, di quelle che ti escono così, senza pensarci troppo, tra la spiegazione degli skills richiesti e il tipo di contratto offerto.

Si, infondo dai.. vediamola così, una battuta.

Una pessima battuta del casso.

 

 

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.