25 Aprile

Non aveva nemmeno più la saliva in bocca.
La testa stava per girare, o per scoppiare. Doveva tentare di respirare.
Poco.
Silenziosamente.
Il primo respiro gli provocò un dolore lancinante al petto, tutti i muscoli tesi gridavano vendetta; poi fece il secondo, e il terzo. Socchiuse gli occhi e provò a pensare ad un pomeriggio passato con gli amici a pescare.. le rane, grosse, prese quasi al volo, rese invalide da un colpo secco delle dita, che spezzavano le zampe e le gettavano nella sacca.
Funzionava.
Era calmo.
“Fa pure caldo” pensava, mentre immobile si nascondeva sotto a un cumulo di paglia. Non riusciva a vedere nulla, era buio, si sentivano solo voci e ordini urlati con foga.
Poi rumore di passi, anzi, piedi che calzavano stivali neri e pesanti, quegli stivali che avevano spezzato costole, mani, dita… qualsiasi osso, a suon di calci e pestoni. No, non doveva pensare all’ultimo rastrellamento, doveva stare calmo, fare pochi respiri, ignorare i topi che gli si avvicinavano al piede, ignorare il dolore dei muscoli prossimi al crampo. E stringere il pacchetto.
-Bastard!-. Urlò uno.
Un calcio sfondò la porta della stalla, le bestie si agitarono.
“E se il mulo mi schiaccia?” pensò. Pazienza, meglio che farsi torturare dai fascisti. Suo cugino aveva solo un vago ricordo delle mani attaccate ai polsi.
I passi si avvicinavano.
Calmo, stai calmo.
Gli occhi erano chiusi, la paglia pungeva le palpebre.
Pazienza, pensava, sarà massimo questione di una notte, mi tortureranno, ed io finirò nella fossa con gli altri.. darò un nome falso, dirò che sono di una cascina che non c’è, dirò un mucchio di bugie. Tanto mi uccideranno lo stesso. Come han fatto con Beppe: ha detto dov’eravamo e hanno ucciso prima lui, poi massacrato gli altri.
Di nuovo il cuore accelerava, negli occhi chiusi l’immagine della sorella del Beppe.. delle donne della sua famiglia. Gli altri ragazzi, corpi accatastati come manichini rotti.
C’era una piccola fonte di luce, probabilmente avevano una lanterna.. c’erano buone probabilità che per non perdere tempo a cercare partigiani decidessero di dar fuoco a tutto. Beh, volendo vedere il lato positivo, morire d’asfissia e poi bruciati era già una conquista.
Ma si, forse era meglio così.. chi avrebbe identificato un corpo bruciato? La sua famiglia non avrebbe subito le ripercussioni.
Parlottarono a lungo, senza dar fuoco a nulla; sentì uno chiedere all’altro “che fine ha fatto il tuo mantello”? E l’altro “una delle ragazzine che lavora per mio padre aveva solo un vestito di cotone.. l’ho lasciato a lei”. “Contento tu…”.
Da sotto la paglia ricordò: la figlia del Pietro. C’era una conversazione animata al campo, tra il capo ed uno degli ultimi arrivati: la figlia del Pietro se la fa con un fascista, diceva, non c’era da fidarsi, bisognava ucciderla, uccidere lei e tutti i bastardi che stanno da quella parte; il capo dissentiva, non avrebbe ucciso una ragazzina, solo per un mantello. Che fortunata, la figlia del Pietro.
Un po’ meno fortunato lui: il fascista col mantello era davanti al suo cumulo di paglia.
Si rese conto che puzzava di paura, oltre che di sporco e di stalla. Sentì l’altro fare qualche passo indietro, spostare qualcosa.. sembrava che stesse afferrando qualcosa… ma non capiva, non si ricordava nemmeno cosa c’era in quell’angolo di stalla…
Zac.
Spalancò gli occhi e si morse la lingua per il dolore, sussultò nel silenzio della stalla: aveva qualcosa di acuminato che gli stava perforando il fianco destro, non capiva quanto fosse conficcato, ma bruciava e qualcosa di caldo colò nella paglia.
“Ave o maria…” iniziò a recitare. “perdona, perdona i miei peccati”… l’oggetto acuminato si ritrasse malamente dalla sua carne, facendo quel poco di resistenza da far capire che sotto alla paglia giaceva il corpo di un piccolo partigiano, preso per fare la staffetta quasi per caso.
Gli stivali neri fecero due passi indietro, poi l’oggetto acuminato (un forcone), entrò ed uscì dalla paglia più volte, finendo sempre a pochi centimetri dalla sua schiena; l’uomo armeggiò ancora, ed infine lasciò cadere l’attrezzo a terra.
-A jè nienti-.
E uscì.
La stalla non andò a fuoco, il forcone rimase per terra, senza traccia di sangue. Stremato e dolorante uscì dal cumulo, con la mano che cercava di constatare la gravità della ferita sul fianco. Sembrava solo sangue, poi col ginocchio urtò qualcosa di morbido…
Sorrise. Capì perchè la figlia del Pietro aveva corso un grave rischio. Il mantello -si, quel mantello- teneva veramente caldo.

p.s. onorata di aver sentito il racconto da questo “ragazzino”, onorata di aver potuto sentire cos’era la guerra da parte dei diretti testimoni, contenta che questi testimoni le abbiano raccontato che, anche tra i peggiori aguzzini, c’erano persone -infondo- buone.

Pubblicato da Little Cinderella

Nata nel "recente" 1984, sono appassionata di tutto ciò che è creativo e che permetta di giustificare la mia scarsa propensione all'ordine.