Perché tutti dovrebbero leggere Harry Potter

Uno studio di ricercatori italiani conferma l’importanza di alcuni libri, in particolare quelli fantasy, nel far comprendere al lettore il punto di vista di gruppi diversi da quello a cui si appartiene.

Come narra l’ormai famosa storia, nel giorno del suo undicesimo compleanno un orfano scopre di avere un dono che lo distingue dai suoi coetanei. Nel corso degli anni si trova ad affrontare le normali sfide dell’adolescenza, ma anche minacce meno comuni, come combattere un mago assassino e psicopatico intenzionato a creare uno stato di polizia eugenetica.
Mi riferisco ovviamente al giovane mago Harry Potter, l’occhialuto e integerrimo protagonista dei popolarissimi libri di J.K. Rowling, la cui nemesi, Lord Voldemort, è il malvagio antagonista della storia.

Per quanto possa sembrare inverosimile, una nuova ricerca suggerisce che il mondo di elfi domestici, mezzi giganti e cani a tre teste della Rowling ha il potenziale per renderci migliori.

Con oltre 450 milioni di copie vendute, quella di Harry Potter è la serie letteraria di maggior successo della storia. Ma ha avuto anche i suoi detrattori. A contestarla sono stati soprattutto vari gruppi cristiani, secondo i quali propagandava il paganesimo e la stregoneria fra i bambini. Il critico letterario del “Washington Post” Ron Charles, dal canto suo, ha definito la capacità di Harry Potter di far presa anche sugli adulti “un brutto caso di infantilismo culturale”, riferendosi alla contrapposizione, probabilmente semplicistica, “bene contro male”. Charles, e altri ancora, hanno anche parlato di una certa debolezza artistica nel carattere fortemente commerciale della narrazione, e c’è chi ha rimproverato a Hogwarts, l’accademia della magia frequentata da Harry Potter, di premiare solo talenti innati.

Un nuovo studio pubblicato sul “Journal of Applied Social Psychology” ha scoperto che la lettura dei libri di Harry Potter in particolare ha effetti di questo tipo, probabilmente perché il protagonista è continuamente in contatto con gruppi discriminati. I “babbani”, per esempio, non sono molto rispettati nel mondo dei maghi perché non hanno alcuna abilità magica. I “mezzosangue”, o “nati-babbani” – maghi e streghe figli di un solo genitore con poteri magici – non se la passano molto meglio, mentre il personaggio di Lord Voldemort crede che il potere debba essere unicamente nelle mani di maghi “purosangue”. E’ un Hitler col mantello da stregone.
I ricercatori, guidati da Loris Vezzali, dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, hanno condotto tre studi correlati. Nel primo, 34 bambini delle scuole elementari hanno risposto a un questionario per valutare gli atteggiamenti verso gli immigrati. I bambini sono stati poi divisi in due gruppi che si sono riuniti una volta alla settimana, per sei settimane, per leggere brani di Harry Potter e discuterne con un assistente di ricerca.

Un gruppo leggeva passaggi sul pregiudizio, come quello in cui Draco Malfoy, biondissimo mago purosangue, insulta l’amica di Harry, Hermione, chiamandola “sporca mezzosangue”. Il gruppo di controllo leggeva invece brani neutri, come quello in cui Harry compra la sua prima bacchetta magica. Una settimana dopo l’ultima sessione, gli atteggiamenti dei bambini verso gli out-groups sono stati nuovamente valutati, ed è stato rilevato un notevole miglioramento negli atteggiamenti verso gli immigrati tra i ragazzini che si erano identificati con il personaggio di Harry Potter e avevano letto i brani sul pregiudizio. Gli atteggiamenti di chi aveva letto brani neutri, invece, non erano cambiati.
Vezzali e colleghi hanno condotto due studi di follow-up con risultati simili. Uno ha scoperto che la lettura di Harry Potter migliorava l’atteggiamento dei ragazzi delle scuole superiori italiane nei confronti degli omosessuali. L’altro ha collegato i libri della Rowling a una maggiore compassione verso i rifugiati tra gli studenti universitari inglesi. In questa popolazione più adulta, l’identificazione con il personaggio di Harry Potter non ha contribuito a cambiamenti di atteggiamento – presumibilmente, gli universitari non si riconoscono molto in un personaggio più giovane di loro – a prescindere da quanto forte fosse la loro non identificazione nel malvaglio Voldemort. Come scrivono gli autori, questo risultato è in linea con la teoria sociale cognitiva più diffusa: “Le persone formano i propri atteggiamenti non solo adeguandosi ai personaggi positivi di rilievo, ma anche prendendo le distanze da quelli negativi”.
Naturalmente i fattori che plasmano i nostri atteggiamenti verso gli altri sono molti: i media, i genitori, i coetanei, le convinzioni religiose. Ma il lavoro di Vezzali conferma una ricerca precedente secondo cui leggere romanzi da piccoli – letture che comportano il coinvolgimento nelle complessità sociali, culturali e psicologiche della vita – può avere un impatto positivo sullo sviluppo della personalità e dell’empatia.

Uno studio pubblicato l’anno scorso su “Science” ha scoperto che, a differenza della narrativa di consumo o della saggistica, la lettura di romanzi di qualità si traduce in una percezione sociale più acuta e in una maggiore empatia: intendendo l’empatia come la capacità di alternare punti di vista diversi a proposito di una persona o situazione. I romanzi che sviluppano temi e personaggi complessi sembrano indurre i lettori ad adottare o contemplare prospettive che altrimenti avrebbero potuto non prendere in considerazione; a quanto pare, la Rowling riesce a cogliere il bellissimo e complicato caos della vita in modi che potrebbero avere un’influenza significativa sul carattere dei nostri figli.

Vezzali mi ha detto che il genere fantasy può essere particolarmente efficace nel mitigare gli atteggiamenti negativi, perché di solito non rappresenta popolazioni reali, evitando così potenziali forme di difesa e sensibilità verso problemi politicamente delicati.
“Purtroppo le notizie che leggiamo ogni giorno ci dicono che c’è molto lavoro da fare”, dice Vezzali. “Ma sulla base del nostro studio, libri fantasy come quelli Harry Potter possono essere di grande aiuto a educatori e genitori nell’insegnare la tolleranza”. Il gruppo di Vezzali ha intenzione di continuare a studiare l’impatto della letteratura e di altre possibili forme di intervento per contrastare i pregiudizi, nella speranza che un giorno abbiano un effettivo impatto culturale.


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