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Intervista a Nicolò Govoni autore di Uno

UNO: Intervista a Nicolò Govoni

Buongiorno lettrici (e lettori). Per le interviste del sabato abbiamo voluto parlare con il giovane autore Nicolò Govoni.

Uno
Uno

Il suo romanzo UNO, è stato pubblicato dalla Genesis Publishing nel 2015 e prima di lasciarvi con le parole del suo autore, vorremmo, per chi non lo conoscesse già, che leggeste la sinossi:

Un romanzo di formazione sotto forma di diario di viaggio. Uno è l’opera prima di un giovanissimo scrittore, che – dopo un’esperienza indimenticabile – decide di trasferire su carta eventi, vite, sensazioni. Govoni, con uno stile asciutto e diretto, ci narra di un orfanotrofio in una regione sperduta dell’India, con la sua realtà di colori, di profumi, di spezie e vite sofferte. Poi, ci sono i bambini, altri veri protagonisti del racconto. Piccoli ma già grandi nel loro singolare modo di affrontare la vita. Il lettore resterà affascinato da questo nuovo mondo, visto attraverso gli occhi di un ragazzo e narrato con un talento fuori dal comune. Consigliato agli amanti dei romanzi di crescita, a coloro che adorano scoprire posti e usi diversi, a quelli che si nutrono delle emozioni che trasudano dalle pagine di un libro. Questo è il testo che fa al caso vostro!”
[L’Editore]

EPPURE REALIZZAI PER DAVVERO QUANTO CAOTICA E IN PRESTITO FOSSE LA MIA FORTUNA, LA FORTUNA D’ESSERE NATO SULLA GUANCIA GIUSTA DEL MONDO, SOLTANTO QUANDO UN VECCHIO, PER STRADA, PIANSE E DISSE:
“SEI BIANCO COME DIO.”

La partenza. La fuga. Un ragazzo di vent’anni, insoddisfatto e asfissiato dalla realtà che lo circonda, “malato”, si definisce addirittura, sente il bisogno di andare, vedere il mondo con i propri occhi.
L’India. Una terra incredibile dove il protagonista trova rifugio tra le mura di un piccolo orfanotrofio del Sud, imparando a conoscere i venti bambini che lo abitano, imparando a conoscere Mr Joshua, l’uomo che li ha salvati dalla strada, e con il passare del tempo, imparando a conoscere se stesso.
Poi, fra le lenzuola di un albergo lussuoso, una splendida ragazza indiana, Nandini, insieme fatale e dannata, trascina il protagonista alla scoperta di un’India divisa tra i grattacieli e le baraccopoli della Città degli Eccessi, dove i vecchi valori si scontrano con la forza del progresso. Ciò che ne risulta è un contrasto netto. Occidente e Oriente, realtà inconciliabili, se non all’interno della mente, o del cuore.
Uno è la storia di un grande viaggio. Ma non solo un viaggio intrapreso, gridando, sul tetto di un treno diretto al Taj Mahal, bensì un viaggio a fondo nel petto dei personaggi, indagando le problematiche individuali e sociali dell’India moderna, dalla condizione femminile all’alcolismo, dall’industrializzazione ai matrimoni combinati.
Uno è un intreccio di amore, morte e fede, solitudine, inadeguatezza e felicità, abbandono, perdita, nostalgia, e speranza, nella spasmodica ricerca che accomuna tanto un ragazzo di vent’anni quanto un uomo di cinquanta: la ricerca dell’identità.

Questo, per farvi capire che l’argomento di oggi va ben oltre un semplice racconto di vita, ma ci pone di fronte ad uno scenario reale, che fa stringere il cuore. Lo diciamo già da ora: Grazie Nicolò.

Veniamo, quindi, alla nostra intervista:

Parlaci un po’ di te: chi è Nicolò, sia come persona che come autore.

Mi chiamo Nicolò Govoni, ho 23 anni, sono originario di Cremona, ma vivo in India da due anni, dove studio giornalismo. Mi sono trasferito qui per continuare una missione di volontariato intrapresa ormai tre anni orsono presso Dayavu Home, un piccolo orfanotrofio situato in Tamil Nadu, uno degli stati più poveri dell’India meridionale. Questa decisione ha cambiato completamente la mia vita.

Amo: leggere, fare esperienza di ogni tipo, avere ragione ed essere contraddetto.

Disdegno: le melanzane, le menzogne e l’ignavia.

Desidero: avere un impatto positivo sul mondo.

Raccontaci del tuo romanzo, UNO: Com’è nata l’idea?

 A vent’anni ho attraversato un momento piuttosto burrascoso della mia vita, una fase durata la mia intera adolescenza e caratterizzata da fallimenti scolastici, forti contrasti con la famiglia e le autorità, e da una profonda insoddisfazione originata dalle delusioni con quel primo, grande amore. Problemi da ragazzi, ma non per questo meno dolorosi. Così ho deciso di partire, e di andare lontano, e magari, per rendere il viaggio più significativo, aiutare qualcuno nel mentre. Quando finalmente sono giunto a Dayavu Home, mi sono scontrato con la realtà locale e ho conosciuto Mr Joshua e i bambini, ho sentito l’irrevocabile impulso a condividere ciò che ho vissuto. E così ho iniziato a scrivere.

Sei rimasto sempre fedele all’idea iniziale, oppure durante la scrittura (o anche a romanzo ultimato), hai deciso di cambiare qualche dettaglio nella trama, o qualche scena?

 Essendo quella di “Uno” una storia vera, la narrazione aderisce strettamente alla realtà dei fatti per come si sono verificati. È anche vero, tuttavia, che ho preso licenze creative durante la stesura, integrando i miei pensieri con quelli dei grandi pensatori della filosofia moderna, infondendo nella costruzione di personaggi minori i tratti delle persone a me vicine, proiettando i miei desideri dove la vita propone soltanto caos.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere con il tuo libro?

 A te, lettore, se ti senti insoddisfatto, se ti senti intrappolato, sappi che non è mai troppo tardi per essere la persona che avresti voluto essere. Basta accettare che le proprie certezze sono luci effimere, e sebbene possa sembrare spaventoso, spesso aprirsi al nuovo è l’unico modo per cambiare ogni cosa. Ciò che perdiamo non è perduto per sempre. I confini, sia geografici sia individuali, sono solo un concetto, e in quanto tali attendono solo che qualcuno li contraddica e riconosca infine che il mondo è un unico corpo, e la nostra vita è legata a tutte le altre, da grembo a tomba. Siamo tutti un’unica entità. E l’amore ne è la forza motrice.

Qual è il personaggio al quale ti senti più legato?

Mr Joshua, senza dubbio. Come dicevo, essendo tutti i personaggi direttamente o indirettamente reali, Joshua, il direttore dell’orfanotrofio, rappresenta per me, sia nella sua forma d’inchiostro che in quella di uomo in carne e ossa, una delle figure più importanti, una delle tre persone che enormemente hanno influenzato la mia vita, e senza le quali certamente non sarei qui ora, a scrivervi. Combatti, battiti fino all’ultimo respiro, senza riserve, per una lotta che senti giusta. Plasma con le tue stesse mani il tuo destino.

Autocitati: la frase del libro che senti più tua, o un passo che ti piace particolarmente.

La vita è un’incessante danza della perdita.

Credo che questa frase racchiuda il significato dell’intero libro, e della vita di ognuno.

Cosa vuol dire per te scrivere?

Respirare, bere, nutrirsi, scrivere per me è paragonabile a queste funzioni essenziali alla vita. Certo, se mi privassero della scrittura non morirei soffocato, disidratato o di stenti, ma so che sarebbe una vita a metà. Ho scritto il mio primo piccolo manoscritto all’età di quattro anni, e da allora mi sono ancora e ancora cimentato nella narrazione di questa o quella storia, una costante attraverso l’intero arco della mia infanzia, adolescenza e giovinezza. In quanto aspirante giornalista, scrivere sarà probabilmente la mia professione, la mia arma più pervasiva, il mio rifugio quando mi sentirò braccato. Scrivere è l’inizio e la fine delle cose.

Quali sono gli autori dai quali ti senti maggiormente influenzato a livello artistico?  

Hemingway, grande scrittore – “Fiesta” è uno dei miei libri preferiti – e grande personaggio, la cui inquietudine, idealismo, tormento e impulso all’avventura permeano i suoi scritti e vincono il passare del tempo, esalando dai pori della carta, fino a me.

Murakami mi ha insegnato il valore dei minuscoli gesti compiuti dai personaggi nella creazione dello stato d’animo, George R. R. Martin mi ha educato a bilanciare i numerosi elementi della trama come se fossi un equilibrista, Salman Rushdie mi ha mostrato come stravolgere con estrema maestria ogni regola sintattica, mentre Calvino mi ha detto di puntare al cuore.

“Shantaram” di Gregory David Roberts, infine, è la ragione per cui scelsi l’India, tra tutti i paesi al mondo bisognosi di aiuti umanitari.

Se dal tuo libro fosse tratto un film, chi vorresti come protagonisti?

Facce nuove. Amo quando un film scritto, diretto e recitato da sconosciuti sorprende l’intero pubblico. Sì, posso definirmi un amante delle sorprese.

Cosa ti aspetti dal prossimo futuro?

Grazie alle vendite di “Uno” siamo riusciti a mandare tutti i bimbi più piccoli a scuola e quattro dei ragazzi più grandi all’università. In tutta sincerità, sono entusiasta di questa vittoria! La traduzione inglese di “Uno” è in procinto di essere ultimata, dunque spero di vederne presto la pubblicazione. Incrocio le dita anche per la laurea, quasi dietro l’angolo oramai, così da poter salire sul prossimo gradino. Lo ammetto, la Scalinata della vita mi appassiona non poco.

Stai già lavorando ad altri progetti?

Sì. Un anno e mezzo fa, poco dopo essermi trasferito in una metropoli indiana e averne vissuto le scioccanti peculiarità, ho maturato l’idea di un secondo libro. Oggi, quell’idea si è sviluppata, sbocciando nel principio di una storia nuova. Quindi sì, la penna è stata spolverata, è tornata a scrivere e graffiare la pagina dando vita a una città, ai personaggi che la abitano e ai drammi che albergano in ognuno di essi.

Sarà un’esperienza completamente diversa da “Uno”. Sia stilisticamente che dal punto di vista del contenuto, quella che ricerco oggi è una sfida completamente rinnovata, e per me stesso in quanto autore e, soprattutto, per i lettori. Mentre “Uno” è una storia di speranza, che mostra tutto ciò che di buono anima gli uomini, questo secondo libro sarà un atto di denuncia alla crudeltà, alla depravazione e all’orrore che alberga all’interno dei medesimi individui. Questo libro coinvolgerà il lettore in una caccia alla pura Verità, priva di filtri, priva di scuse, mirata a portare cambiamento, a rivoluzionare l’ordine di ciò che è marcio e taciuto e ignorato dai più.

Ho iniziato la stesura da poco, e conoscendo la mia attenzione ai dettagli so che necessiterò di tempo prima di dare questa vicenda alla luce.

Ma, ve lo assicuro, ne varrà la pena.

 

 

 

Una risposta a “Intervista a Nicolò Govoni autore di Uno”

  1. Complimenti…..mi hai emozionata, e ti assicuro che corro in libreria a comperare i tuoi libri….Complimenti davvero….i tuoi genitori e chi ti è riuscito a trasmettere e far venire alla luce questi buoni propositi e il tuo buon cuore, devono essere orgogliosi per aver fatto un ottimo lavoro. Sono mamma anch’io e ciò che entusiasma noi genitori è la certezza di saper cercare e trovare dei talenti nei nostri figli per farli diventare uomini migliori. Bravo, bravo, bravo…..chapeau

     

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